Corpi di Luce di Sarah Moss
Un’interessante analisi dell’animo umano
Ho letto letteralmente tutto d’un fiato “Corpi di Luce” di Sarah Moss, nonostante molte pagine mi facessero molto male perché colpivano in zone molto intime e personali.
Un critico lo ha definito un romanzo importante, di sicuro è evidente che Sarah Moss, l’autrice di Corpi di Luce, abbia studiato a fondo l’animo umano e la psicanalisi in ogni sua forma.
Da “studiosa” e amante della psicoanalisi, della psicologia e di figure come Sigmund Freud, Edith Stein, Carl Jung, Sabina Spielrein e svariati altri, mi sono immersa in questa lettura – che usa lo stile romanzesco e ottocentesco (sono palesi i rimandi a Jane Austen e Elizabeth Gaskell) – empatizzando non poco con la giovane dottoressa Alethea Moeberley Cavendish.
Da qui in avanti saranno presenti diversi spoiler…
Alethea viene cresciuta, insieme alla sorella minore May, in un’atmosfera molto complicata.
Da una parte il padre Alfred, artista rinomato, amante dei piaceri mondani, culinari, estetici, della luce;
dall’altra la madre, Elizabeth, tutta presa dalla voglia di autoflagellarsi, mangia poco o nulla, pensa più ai poveri che alle sue figlie, che vessa in continuazione, e le colpevolizza per la loro condizione di ricche e privilegiate, arrivando a torturare psicologicamente e fisicamente la stessa Alethea.
Fino ad un certo si può capire Elizabeth – anch’essa vittima di una madre anaffettiva e bigotta che peraltro se ne fregava del prossimo e credeva che le donne dovessero pensare a fare solo le mogli e le madri – e suo modo provava a emancipare le figlie, da ruoli “femminili” prestabiliti e mostrava loro le difficoltà della vita, fuori dal palazzo di famiglia.
Chi proprio non ha attenuanti è Alfred, che fa tanto il moderno ma considera donne malvagie le ragazzine buttate per strada e costrette a prostituirsi.
Alfred chiama Alethea “principessa” ma di fatto non fa nulla per sottrarla ai deliri materni sull’isteria, pseudo malattia attribuita alle donne da fantomatici medici.
Già, l’isteria, è bene sottolinearlo, è una malattia che non esiste, demolita dalla comunità psichiatrica mondiale da decenni:
Vedere a tal proposito questo interessante articolo di The Vision oppure questo libro di Giuseppe Roccatagliata, oppure ancora quest’altro articolo.
L’ultima volta che viene usata in ambito medico fu, udite udite, negli anni 50.
E fu levata, ufficialmente, dalle malattie nel 1987.
L’isteria non esiste come malattia, è solo una supposta malattia, peraltro sempre attribuita alle donne se avevano incubi (!):
se osavano urlare durante il parto (!),
se non seguivano le regole precostituite (tipo non perdonare il marito che le cornificava e/o non accettare le di lui botte come segno di amore nuziale) e potremmo continuare in eterno…
Alethea viene considerata isterica perché ha degli incubi feroci dopo aver visto come vivono i poveri (che delitto!).
Tuttavia, per amore di onestà, ad Elizabeth non era andata meglio quando osò chiamare la propria madre nel momento delle doglie: “Lo sapevo, si è fatta prendere dal nervosismo. Il parto è una sciocchezza!”.
Dulcis in fundo la madre di Elizabeth, quando lei cadde in depressione post partum, dopo la nascita di Alethea, la riempì di insulti perché “hai un marito che ti adora, una bella casa e una figlia in salute, ti dovresti vergognare a star male!”.
Elizabeth, pur provando a uscire dal giogo materno – come dicevo sopra la madre non voleva che si occupasse dei poveri e dei bisognosi – sceglie il metodo sbagliato, creando una voragine con le figlie Alethea e May.
E la crea persino con il marito Alfred, il quale finirà per tradire la moglie di continuo, senza mai provare ad aiutarla o starle vicino.
Alethea, al contrario, grazie alla propria caparbietà, alla propria intelligenza e grazie anche all’affetto della zia Mary e dello zio Lawrence ( i quali saranno per lei vere figure genitoriali), dei cugini e dell’amica Anne, troverà la forza di scegliere la sua strada.
Una strada difficile e complessa, dopo aver preso a pieni voti la laurea in medicina (senza ovviamente ricevere mezza lode dai genitori), aiutando chi veniva considerato matto.
Importante per la sua crescita spirituale è anche il rapporto con l’amato marito Tom Cavendish, un giovane, geniale e bellissimo ingegnere – peraltro costruttore di fari, edifici che mi affascinano da morire – con cui legherà in pochi mesi perché reciprocamente attratti dalle rispettive intelligenze e sensibilità verso l’umanità.
Non pensate che “Corpi di Luce” sia una favola, non lo è, in alcuni momenti tremavo dall’angoscia e dalla rabbia leggendo certe pagine perché mi rivedevo oppure vi rivedevo diverse amiche in certe situazioni, estremamente familiari e realistiche.
La realtà è che noi donne, molto spesso, abbiamo dovuto dimostrare di essere più brave degli uomini per ottenere sì e no i medesimi meriti, quando andava bene.
La verità è che noi donne abbiamo dovuto lottare per essere dottoresse, ingegnere, professoresse, artiste, ecc e poi lottare di nuovo per poter avere una propria vita privata perché una donna geniale oppure una donna semplicemente intelligente non poteva essere una moglie o una madre.
Oppure doveva essere solo una moglie e una madre.
La verità è che Alethea rappresenta ciò che noi donne sappiamo essere, un groviglio di sensazioni, emozioni, intelligenza.
Per citare un mio romanzo (Ho sognato Babilonia): “Siamo universi dentro altri universi”.
Nessuno di noi, anche quelli che paiono seguire certi standard, può essere inscatolato in qualcosa.
Viva dunque le Alethea che hanno compreso le proprie debolezze e sanno che non sempre le cose si possono risolvere, non siamo invincibili, non siamo divinità.
Siamo esseri umani, che sognano di essere rispettati ed amati per ciò che siamo.
Siamo Corpi di Luce.
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